Quella casa nel bosco

Il sentiero è sterrato e scosceso e la pioggia ha inzuppato troppo il terreno. Le mie scarpe sono talmente infangate che ogni passo rimane sprofondato con il piede.
Mi ha telefonato in disperazione il mio paziente. Non sa come fare ad attaccare il sacchetto sulla pancia, si è imbrattato tutto e piange disperato, anche se ha quasi ottant'anni. Gli ho promesso che sarei venuta oggi pomeriggio, ed eccomi qui, tra i boschi dei colli alla ricerca del civico 6.
Se credessi alle favole, potrei aspettarmi il lupo mannaro dietro a quel pino enorme.
La casa mi sembra quella. Segue il civico 4.  L'ampia vetrata è appena illuminata da una luce tiepida. Che bello il giardino. Curato. Lo ha sempre detto che la passione per il giardino lo occupa per gran parte del tempo. Lungo il vialetto in porfido, pansè bianchi e azzurri rasserenano il grigio inverno. Consolano. Gli ridanno la vita i fiori, mi dice.  Dal comignolo esce del fumo nerastro. Forse ha il caminetto acceso. Adoro guardare la legna bruciare e osservare le mille sfumature del fuoco.
Sbatto i piedi per terra per staccare il fango molle. Che disastro! . E mi avvicino al campanello buio. Accidenti! Questo è il civico 5!.
Lo sguardo rincorre una macchina parcheggiata in doppia fila sulla destra, di fronte ad una casa fatiscente. Mi avvicino per leggere il numero. E' il 6 eccola!. Il tetto presenta delle crepe tra i coppi e l'edera dalla parete ha raggiunto la grondaia gocciolante e arrugginita. Mattoni sbrecciati segnano il muro pericolante. Non esiste un vialetto fiorito nè un giardino curato. Sembra disabitata. Ogni albero si presenta aggrovigliato all'altro da erbacce, sterpaglie e gelsomino imbrunito. Suono il campanello. Lui mi accoglie con gli occhi stropicciati in un fazzoletto di carta. Mi fa una pena terribile. Mi chiede di entrare ed esito sull'uscio per le scarpe inzaccherate che sfilo via, lasciandole accanto ad una fioriera di piante secche . Nello stesso tempo, con un gesto tracotante, sollevo la gamba e supero la cespugliosa chioma di una pianta sull'ingresso . Regge un grande asciugamano sulla pancia il mio paziente. I pantaloni sono sgualciti e scuciti sulle tasche penzoloni, e completamente imbrattati. Indossa una camicia ingiallita e un grande cardigan di lana infeltrita. La casa è gelida. Il camino è solo improntato sulle pareti grigie. Non c'è acqua calda. Cerco di aiutarlo a risolvere la situazione. Gli chiedo se le assistenti sociali gli abbiano mai fatto visita e mi risponde di si, che sono molto gentili, che stanno provvedendo a tutto, ma il sacchetto si stacca sempre quando è solo in casa. E per forza, non toglieva la carta copri adesivo, tutto qua. Un piccolo passaggio che noi diamo per scontato. E chi si sognerebbe mai di attaccare un cerotto senza prima rimuovere la carta dall'adesivo? .
Proprio lui, il mio paziente, fragile e sensibile. Lui, semplice e sfortunato, solo e coraggioso allo stesso tempo. Più prossimo ad un gorilla piccolo così che ad un topo grosso.
Gli mostro come fare e lui...Scoppia in una risata giubilante, di quelle che spiazzano malumori che liquidano cose o persone.  "Annaspo sul ciglio della mia decrepitezza, abbia pazienza Fanni", mi dice. Rimango attonita dalla sua frase. Ve lo giuro, ha detto proprio così. Ricercando nella sua memoria parole tornite da una cultura celata senza congetture. Una frase rubata dall'ultimo libro di Michele Serra, si proprio lui, in "Ognuno potrebbe". Ognuno potrebbe essere ciò che non appare. Ognuno potrebbe cambiare e indossare i panni dell'altro.
Il mio paziente mi ha dato una lezione di vita, e lo saluto con un abbraccio. Lasciandolo solo, in quella ricca, ricchissima, casa nel bosco.



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