SOSPETTI E PAURE, E BISOGNO D'AMORE

Quando Sara me lo ha raccontato, ho pensato che questa fosse l'ennesima storia...

Sono stata dimessa dall'ospedale da pochi giorni e la mia casa è avvolta dalle piante. L'edera ricopre metà portoncino. E' la bruttezza offensiva di un verde troppo eccentrico. La casa non si nota più.
Solo in cortile, la sistemazione di piante e vasi secondo il mio spirito libero e scanzonato, confonde il disordine
E' stata una settimana di pioggia che ha fatto rinvigorire alberi e rampicanti. La vite americana ha raggiunto la finestra della mia camera, al secondo piano, ed è forse la creatura più artistica della facciata. In giardino, l'erbaccia domina su quello che era un prato inglese verdissimo. Il mio prato. La mia passione.
Mio marito scarica il pesante borsone e il trolley cigolante mentre entro in casa e mi avvio in cucina. Mi accoglie un odore di chiuso, di stantio, e uno starnuto improvviso dilata le mie narici.
Vorrei un tè dorato e caldo ma sul fornello la teiera ammuffita emana un odore fetido. Il tè della settimana prima è ancora là. Vado su, con una fretta compulsiva, aggrappata al corrimano della scala impolverata e buia. Non è aperta alcuna tapparella di sopra. Sento mancare l'aria e l'ossigeno.
Spalanco tutto e respiro a pieni polmoni. Che tristezza la mia casa senza di me, sembra soffrire. Soffoco la gragnola di critiche che vorrei fare.
Il letto matrimoniale è sfatto e sulla sedia ci sono i pantaloni di Giorgio di una settimana fa.
I calzini neri sono ancora per terra, pieni di nidi di polvere.
Ma dove sarà stato mio marito mentre io ero in ospedale?. Per fortuna questa evanescente sequenza di immagini di tradimento sorvola appena in questa stanza, ma una serie frastagliata di cattivi pensieri mi sfracellano il cervello e decido di cacciarli via. Vado in bagno e sento che Giorgio mi chiama giù. "Vieni Sara!, Vieni giù che Tobia vuole vederti!".
Tobia è il mio gatto nero. Scendo le scale e lo trovo miagolante, dimagrito, rimpicciolito, stanco. "Cosa ti è successo amore mio?". Sembra affamato e assetato e non attendo un secondo in più per ristorarlo. Pare l'unico felice di rivedermi in questa casa.
"Giorgio ma che hai fatto mentre ero in ospedale?. La casa sembra disabitata."
Giorgio si dimostra indaffarato con l'impalcatura delle bottiglie di vino e fa finta di non sentire. Gli cade anche il cacciavite nello stesso istante e lancia una parolaccia senza ritegno.
Non mi dice nulla, non mi risponde e questo mi insospettisce. Uno spirito di impassibilità malinconica prevale su una brillante conversazione.
Avrei voluto trovare la casa in ordine al mio rientro. Le stanze arieggiate, un'atmosfera variopinta, l'erba tagliata. Le stoviglie lavate e magari la biancheria sporca sul cestone. Ma soprattutto Tobia come prima, che invece sembra non aver mangiato per tutta la settimana. Avrei tanto voluto un gesto d'amore, un fiore sul tavolo, un bigliettino di gioia. Invece no, nemmeno il mio cancro lo ha reso compassionevole. Perchè Giorgio è sempre stato così, abituato ad avere tutto pronto e le giornate illuminate dai miei sorrisi.
Giorgio trova la biancheria pulita nei cassetti, la pasta fatta in casa, i dolci tutti i giorni e un profumo di lavanda il sabato, quando cambio la biancheria del letto. Sa ammirare il mio giardino all'inglese e i fiori freschi che gli faccio trovare sul tavolo. Adora il mio tè. Giorgio non sa vivere solo.
"Senza di te mi sono sentito morire tesoro mio. Non lasciarmi più, ti prego." mi dice con le lacrime agli occhi avvolgendomi le spalle.
E rimanemmo abbracciati in un unico afflato. Per ore.
Poi, finalmente, ebbi il coraggio di dirglielo: "Giorgio... sono io ad avere bisogno di te".

Ciò che non ci viene dato, dovremmo imparare a chiederlo
Se pianti insalata nel giardino del cervello, crescerà solo insalata  







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