Io incontinente, alla prima visita

Ad accogliermi alla porta dell'ambulatorio c'è la terapista vestita di verde. I camici bianchi mi hanno sempre trasmesso una certa preoccupazione, ma il verde lo associo alla sala operatoria e il terrore incomincia ad impossessarsi di me fino ad inghiottirmi. Rimango impalato in piedi, nonostante il sorriso accomodante della dottoressa. Mi invita a sedermi di fronte a lei, non davanti alla scrivania ma proprio di fronte. Lei sposta la sua sedia e l'ansia sale come il vapore nel vaporizzatore annebbiando la mia vista. La mia paura si può tagliare con il coltello.
"Sono qua per il pannolino che sono costretto a portare dopo l'intervento", le dico.
In realtà la colpa non è il pannolino, che in questo momento rappresenta una salvezza per la mia persona, ma l'incontinenza stessa, insopportabile, debilitante, vergognosa. L'odore che mi porto addosso, il pudore. Mi sento un negletto nei suoi cinquantanove anni demoliti da un cancro alla prostata che mi ha cambiato la vita da un minuto all'altro, un oggetto smontato. Già, perché un minuto prima portavo il catetere e tutto andava bene, e un minuto dopo, alla rimozione dello stesso, non riuscivo a frenare un fiume di urina in piena.
Perdo quando cammino, se mi alzo di scatto dalla sedia e se tossisco o starnutisco.Perdo se scendo dal sedile dell'automobile, se sollevo le borse della spesa. Non mi muovo più da casa.
Il motivo, mi spiega la terapista, è la mancanza di uno dei due "rubinetti" fondamentali della continenza, scomparso con la prostata. Ora devo imparare ad utilizzare quello che mi è rimasto, con degli esercizi mirati.
Mi visita in piedi la terapista. Non è facile stare eretto a petto nudo con un pannolone penzoloni addosso. Mi sento come l'uomo di Neanderthal ai tempi delle caverne, col viso di fuoco e la voglia di correre via. Ma stranamente usa parole che mi colpiscono, mi tranquillizzano. Mi rassicura e mi infonde speranza. "La postura è buona", dice; l'addome è un po' prominente (da bevitore seriale non alcolista amante della buona e ricca cucina fatta di pappardelle e costine di maiale, credo stia pensando...), ma cercando di appiattirlo con l'utilizzo di questo muscolo trasverso, risolviamo tre quarti del problema. Per un amante del vino come me, mi sa che sarà dura.
"Deve eliminare il caffè, il vino e la birra", continua, "eccitano la vescica", mi spiega.
Sbianco.
Come farò senza i miei quattro abituali caffè e il mio bicchiere di vino ai pasti? .
La ascolto soffocando un commento lapidario. Mi sento un gregario a lutto.
"Cerchi di mettere in pratica i consigli", sottolinea, "e vedrà un miglioramento progressivo".
Lo farò.
Quando mi stende sul lettino per insegnarmi gli esercizi la paura svanisce. I vapori malsani di prima diventano bollicine che donano un'ivresse tutta particolare. Lo so bene io che produco il prosecco Doc.
Ok posso farcela. Perché io voglio guarire.

Il paziente è venuto per cinque sedute settimanali. Ha messo in pratica gli esercizi e i consigli. 
Alla sesta seduta si è presentato senza pannolino.





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