UNA FAMIGLIA A PESO D'ORO

Sono tre perle di rara bontà le figlie del mio paziente. Non hanno solo una dolcezza innata, conservata dai docili modi della madre, sanno muoversi in punta di piedi, senza disturbare, sanno chiedere permesso con perdute galanterie ed essere riconoscenti.
La loro è una bontà che puoi tagliare con il coltello. Vorrei trovare parole da riempire, così acquisterebbero ancor più significato per poterle descrivere.
Occuparsi del padre e della sua malattia le ha messe a dura prova emotivamente. Danilo è un uomo con una soglia del dolore altissima e una sofferenza silenziosa. E' stato assistito ininterrottamente da tutte e tre, che, superando la sfida con la morte, sono riuscite a salvarlo. Ora sta bene, lo hanno dimesso da pochi giorni.
Spesso lo guardavo addormentarsi sulla poltrona Danilo. Negli occhi piccoli e tondi, orlati di lunghe ciglia, si nascondeva quella malinconia che lo rendeva così fragile. La testa penzolava da un lato e stirava i muscoli del collo, sotto alla pelle raggrinzita. Il labbro inferiore, un po' sporgente, racchiudeva con quello superiore, le parole che non aveva mai detto a sua moglie, come "ti amo", o come "ti voglio bene", alle sue figlie. Liquide frasi che si arrestano dense di significati quando si sta male. E che vorremmo sentire.
L'altro giorno mi trovai per caso in reparto fuori orario e sulla lavagna lessi il nome di una delle sue figlie. Non poteva essere lei. Ci eravamo salutate il giorno della dimissione del papà.
Incredula, mentre mi avviavo verso la stanza, i pensieri si accumularono uno dopo l'altro finchè non raggiunsi la fine del corridoio. Giusy si trovava con la pancia squartata da una laparotomia esplorativa, improvvisamente, come quegli tsunami di cui solo sentiamo parlare ma che ci terrorizzano. Stava in silenzio, le due sorelle accanto. Lei quel silenzio lo aveva bramato e coltivato. L'aiutava a pensare. Pensieri ingarbugliati si rifiutavano di divenire parole. Aveva rischiato di morire. Si, anche lei, come suo padre, poco tempo prima, e come sua madre, un anno fa.
Nonostante l'angoscia fosse come un pugno che le schiacciava il petto, Giusy giaceva là, paziente. Il modo in cui le sue mani correvano sulla stoffa del pigiama, come se non trovassero un luogo in cui fermarsi, mostrava tutta la sua paura. Era una paura antica, la stessa che aveva provato con suo padre, pochi mesi fa, con lo stesso intervento. E quelle stesse mani che sistemavano i lembi del lenzuolo inzuppato di sudore, ora stiravano il suo di lenzuolo.
Mi vide e ricacciò il dolore nel luogo da cui era uscito. Aveva imparato a farlo spesso negli ultimi tempi. Era diventata un'abile giocoliera con i sentimenti brutti. Così mi disse che glielo avevo insegnato io.
Ma lei non sapeva che invece era stata lei l'artefice di tutto ciò, con le sorelle, quando accudivano il papà nel periodo più amaro. Loro, con pochi grammi di determinazione e tenacia, che tanto bastavano a guarire. Loro, con i sorrisi elargiti senza eccessi e con una particolare alchimia.
Sabato sera Giusy, e le sorelle, sono venute ad assistere alla mia premiazione in teatro. Lei era stata dimessa da pochi giorni ma non poteva mancare, mi disse. E il cuore minacciava di scoppiarmi nel petto quando le ho abbracciate tutte. Care e preziose come l'oro.

Post più popolari