Un grazie enorme e carico di potere

Ella aveva le guance appena velate da un leggero fard rosato. Era espressione della salute. Gli occhi ridenti trasmettevano serenità e pace. In testa portava ancora un foulard colorato. I capelli, acuminati e radi, stentavano a crescere.
Mi salutò pensierosa porgendomi la mano ossuta e scarna. Aveva la pelle morbida e calda. L'orologio al polso ciondolava largo e il quadrante nero imponente sovrastava sul suo braccio bianco latte. Al collo spiccava una collanina in oro bianco o argento con un pendaglio in vetro, forse di Murano.
L'ultimo ciclo di chemioterapia si era concluso venti giorni fa ed era in attesa del verdetto. La tac di stamattina avrebbe dimostrato o meno la presenza delle metastasi al fegato e della malattia, avrebbe segnato il suo destino, avrebbe accentuato il suo sorriso o trasformato il suo viso.
Il cielo sembrava quasi piangere e le nubi gonfie di pioggia stavano per esplodere come se preannunciassero una catastrofe. Per tutti gli otto cicli di chemioterapia, Marina portava al collo la collanina magica. La chiamava così quell'amuleto acquistato nell'ultimo viaggio a Venezia, otto cicli fa.






Ci andava spesso prima di ammalarsi. Tra le calli rimaneva incantata a guardare scorci di cielo, balconi arricchiti di fiori e mattoni scrostati. Così vecchia, in alcuni punti Venezia le regalava fantastiche metafore della sua vita. Allora quel campanile incastrato tra nuove costruzioni, sembrava soffocarsi. Ma subito accanto, un balcone in legno di un azzurro scolorito, si ergeva esaltandone la sua bellezza. E oggi avrebbe voluto sentirsi così Marina. Felice, libera e bella.
Attendeva in sala d'attesa insieme ad altri pazienti. I loro movimenti erano talmente lenti da sembrare ipnotici. E' sempre così angosciante l'attesa per la risposta di un verdetto. Ogni volta che ci sono i controlli oncologici le emozioni sono così intense da levare il fiato. Lei teneva gli occhi asciutti fissi davanti a sè. La vedevo da qua, mentre aspettavo una cartella clinica.
Eccolo il medico uscire a testa bassa dalla stanza. Le andava incontro. Lei si alzò di scatto. Un taccuino dall'aria vissuta le cadde per terra. Era il suo diario segreto. Quello che da mesi custodiva ogni sua emozione. Le avevo consigliato io di scriverlo. Le sarebbe servito, ne ero sicura. Lo raccolse e se lo mise in grembo mentre il dottore leggeva il referto in piedi, dinnanzi a lei. Che strano non l'avesse fatta entrare nell'ambulatorio. E se fosse svenuta? Se la notizia fosse stata terribile?. Provavo un senso di amaro dispiacere nel vedere questo approccio.
Il medico scorreva con il dito ogni singola parola di quel foglio. Lei non capiva nulla e fissava la sua espressione. L'accenno di un sorriso sarebbe stato il verdetto più bello; e se la disperazione avesse avuto un volto, beh quel medico se lo sarebbe trovato davanti. Marina desiderava tanto quel sorriso. La fossetta sulla guancia, la rima delle labbra verso l'alto, gli occhi piccoli. Era tutto ciò che desiderava in quel momento. Proprio come quando si è bambini e si ride per niente o si gioisce per tutto. Era così che avrebbe voluto sentirsi Marina.
All'improvviso si strinse nelle spalle. Il dottore lesse tutto d'un fiato e finalmente arrivò alla fine. Lei schiacciava tra le mani il suo amuleto portandoselo poi alla bocca.
Lui sorrise. Con gli occhi lucidi il suo sorriso sembrava ancora più ampio e nitido. Marina strascicava le parole dall'emozione e riuscì a pronunciare solo un "grazie". Era un grazie enorme e carico di potere. Nascondeva un mondo di felicità. La malattia si era arrestata.




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