Datemi ancora una speranza

Racconto tratto da una storia "scandalosamente" vera. Spero che queste parole arrivino al quella dottoressa.

Ha gli occhi tondi Loredana, color nocciola, grandi. L'immancabile trucco, leggero e sobrio, fa risaltare un incarnato roseo, sano. I ricci ribelli dei capelli sempre curati, le accarezzano il viso. Un viso terribilmente giovane. Troppo giovane per dover subire un calvario simile.
E oggi c'è qualcosa che non va più del solito.
Dietro di lei, il marito sempre presente, mi fa spallucce. Fissa il pavimento, solleva appena lo sguardo lucido. Ha gli occhi acquosi, distratti.  Non gli nascondo la mia perplessità ma vorrei sostituire quel volto triste con una maschera più consona alla felicità, e mi rendo conto che oggi non è proprio possibile.
Loredana ha ricevuto l'ennesima batosta. Una diagnosi infausta che nessun medico dovrebbe comunicare con tanta ferocia e accanimento. Mi chiedo perchè si debba spegnere così, ogni piccola illusione di guarigione. Che differenza avrebbe fatto tacere?.
"Che succede Loredana?", le chiedo a voce bassa, appoggiandole una mano sulla spalla e due dita tra i capelli.
Non avrei mai immaginato che mi raccontasse una storia simile.


"Ieri siamo stati da uno specialista oncologo. Volevamo un altro parere, in un altro ospedale. I noduletti al fegato non regrediscono e il polmone presenta qualche macchiolina. La vescica è infiltrata dal male , l'intestino funziona grazie alla stomia ma le ossa mi fanno male. Sono prese anche loro".
Parla così Loredana. Si esprime in un linguaggio protettivo  e infantile. Sembra non capire la realtà. Quella fa davvero paura. Metastasi, cancro, infiltrazione. Si rifiutano di essere pronunciate dalle sue labbra, per non farla sprofondare nel non ritorno.

"La sala d'attesa di questo ospedale è fredda solo per me. L'atmosfera è pressurizzata. Ho i brividi. Il colore dei muri attenua l'ansia e illumina i volti. E' un azzurro cielo. Agli angoli, orchidee bianche giacciono eleganti insieme a riviste passatempo. Accanto a me, una ragazzina con il foulard sul capo, incartata dentro un pelouche di lana merinos, si specchia sui vetri della finestra. C'è anche un uomo anziano, insaccato in una sedia a rotelle. Vicino a lui una donna giovane, forse la figlia, gli tiene la mano. Hanno sguardi esausti.
Siamo tutti qua per lo stesso motivo. Abbiamo bisogno di una conferma, della speranza che la cura prescritta dai nostri medici nei nostri ospedali sia quella giusta, quella che i pazienti sfortunati come noi, seguirebbero anche in questo ospedale. Abbiamo bisogno di poter sperare ancora per non dare sfogo a neanche un atomo di odio.
Abbiamo bisogno di sentirci ancora esseri umani, di esserlo e di restare tali, anche nelle circostanze più estreme. Perchè questa è una forma di resistenza di fronte alla quale ogni oppressore è impotente.

E' il mio turno.

Sono stata dentro diciannove minuti. Non mi ha visitata, non ha letto il plico cartaceo che le ho portato. Solo un foglio . Uno solo era oggetto del suo interesse. Mi fissava con lampi subitanei negli occhi.
"Mi stupisco signora... che nel suo ospedale stiano ancora spendendo denaro per la sua inutile cura".
Non ricordo se sono svenuta o se il mio cervello sia andato in black out. Non ricordo quanto tempo sia trascorso prima di risvegliare la mia coscienza dallo shock di quella frase. E' come se in soli diciannove minuti, con una violenza inaudita, quella dottoressa avesse calpestato la mia vita intera. Il respiro mancava. Il respiro tornava. Lei, altissima, imperante, imponente, stupida.
IO, piccola, sottomessa, povera, lucida.
Ho pagato ottanta euro questa umiliazione lacerante. Un masso inamovibile aveva sostituito il sangue, la linfa, il battito cardiaco. Avrei preferito assistere alla recita di una donna speciale, anche bugiarda, che non elargisse sentenze granitiche e che non frullasse ogni speranza. Ma che mi regalasse solo un briciolo di speranza, non celata in un racconto disilluso ma nascosta in una sola parola , pronunciata con un sorriso anche leggermente sbieco, impertinente se volete:
Speranza.

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