Racconti di stomizzati felici

I racconti sono stati scritti ed elaborati dalla sottoscritta, titolare del blog, su autorizzazione scritta dei protagonisti. A tutela della privacy i nomi sono stati modificati.



DUE CUORI TRA BIANCHE LENZUOLA
Essere ricoverati al settimo piano dell'ospedale dipinto con i colori del cielo può essere un'esperienza davvero interessante. IL libro di Louise Hay giace sul mio comodino insieme alle flebo e alla pastiglietta azzurra che prendo tutte le sere per dormire. "Guarisci te stesso" lo avrò letto dieci volte ormai e gli ho assegnato un'aura mitica; è diventato la mia Bibbia. Sono costretta su questo fastidioso materasso da quasi un mese per un'anemia che mi toglie le forze e a volte il respiro. In oncologia le giornate scorrono a rallentatore e per non essere rapita dalla noia cerco di cogliere quanto di bello ci possa essere in una giornata "da paziente". Io non sono malata. Mi tengono qui solo per fare dei controlli, almeno così mi dicono i miei. E' mio padre che parla sempre con i medici e finchè lo vedo tranquillo io mi sento tranquilla. Tra pochi mesi mi toglieranno anche il sacchetto dalla pancia. Louise Hay mi ha insegnato ad essere positiva e a cogliere sempre gli aspetti più piacevoli dalle esperienze di malattia. Se non fosse per la mia vicina di letto, un po' sorda e che russa come un trattore tutta la notte, o per il volume perennemente alto della tv in stanza sintonizzata su tutte le fiction che lei adora, lo spettacolo che mi godo alla finestra appaga ogni mio brutto pensiero tutti i giorni. Ho fotografato trentuno volte il cielo, sempre alla stessa ora. Sono qui dentro da 32 giorni precisamente e vorrei tanto realizzare un album con queste magnifiche foto. Così romantici quei tramonti, come me. I colori pastello caratterizzano anche il mio guardaroba e la mia camera da letto. Mi danno serenità e li preferisco al nero inquietante , al bianco anonimo o a quelli sgargianti troppo decisi. I medici hanno appena finito il giro e mentre tento di sistemare il telino cerato sotto al lenzuolo del mio materasso mi accorgo di un biglietto giallo sbiadito. E' piegato in quattro, si tratta di un post it , uno di quei biglietti per appunti con l'adesivo. "Ti aspetto da me più tardi... se non sono in stanza, sono giù a fumare" poi sull'angolo in basso a destra leggo un numero scritto in caratteri minuscoli. E'il numero 23 . Con le labbra che accennano ad un tenero sorriso mi chiedo di chi possa essere questo biglietto e come possa essere finito sul mio letto. Sarà forse caduto dal taschino del dottore prima? O della dottoressa bella dai capelli neri? Se guardi Grace Anatomy e tutta la cultura delle fiction del momento non è difficile pensare che storie d'amore bellissime possano nascere tra divise e camici. Lo accartoccio con noncuranza e lo butto nel bicchiere di plastica ancora sporco di acqua mista a poche gocce di tranquillanti che ho sul comodino. A chi potrebbe interessare una stomizzata? .
Resto seduta a bordo letto e fisso il pavimento color avorio poi, alzando lo sguardo al mio cielo sulla finestra, la mente vola su quel biglietto e mi sento trasportata magicamente in un film che si realizza nella mia testa. Come se più scene realizzassero una telenovela. Avrò seguito troppa tv grazie alla mia vicina di letto ! Quel biglietto è caduto dalla tasca dell'infermiera più bella del reparto, quella che prima mi ha messo l'ago al braccio. Il paziente in stanza 23 la sta aspettando e stasera vorrà parlarle. Anzi no. Il dottorino con gli occhiali giallini lo ha perso durante il giro visita. La mia migliore amica direbbe che quel dottorino è proprio un bel bocconcino!. Magari voleva consegnarlo alla dottoressa figona che alle 23 la aspetta nel suo studio per.... Per ??? Il biglietto si è inzuppato nei pochi cc di acqua e benzodiazepine e il mio film continua a registrarsi. Vuoi vedere che il paziente alto e magro in stanza 23 che mi ha visto stamattina in corridoio si è innamorato di me e stasera vuole vedermi?. Si va bene Cristina, scendi dalle nuvole! Il tuo cielo paradisiaco ti ha portato via dalla terra!| Mi stendo per riposare, sono le nove e mezza e decido di rileggere il libro per l'undicesima volta. Alle 22.50 la curiosità ruba i miei pensieri e prendo l'iniziativa di scendere al piano terra a prendere un tè caldo alle macchinette. Mi metto la vestaglia di felpa verdina. Con disinvolta finta pigrizia mi avvio per il lungo corridoio grigio dopo aver avvisato l' infermiera. Il grigio mi mette tristezza e ansia. Una profonda ansia mi assale. Non ho preso le mie gocce. In guardiola l'infermiera Barbie, la chiamo così perchè le assomiglia, è al computer a scrivere, deve avere freddo anche lei come me perchè ha un golfino rosa sulle spalle. No, non può essere come pensavo. Guardo verso est. La stanza 23 è l'ultima del corridoio e per arrivarci devo fare cinquanta passi. Ogni giorno conto i passi che misurano la lunghezza del corridoio, 50 dalla mia stanza e 102 piastrelle. 18 porte. 5 piante. 2 uscite di sicurezza. Più di 100 gradini per arrivare al piano terra. In stanza 23 non c'è nessuno. Prendo l'ascensore e schiaccio zero. Troverò qualcuno che fuma? Mi sento come Sherlock Holmes con l'impermeabile beige solo che io sono Cristina in vestaglia verdina! Alle macchinette la temperatura è proprio invernale e non vedo nessuno. "Che scema che sono! ". Decido di risalire in reparto e di andare a dormire. La mia pastiglietta azzurra sulla garzetta appoggiata sul comodino mi dice che è ora di coricarmi sul serio. Il dottorino dagli occhiali giallini non è in turno di notte e spengo il mio film azzerando il cervello dai pensieri. Mi giro verso la finestra e sento un rumore alle spalle. Sul ripiano inferiore del comodino la piccola sveglietta analogica mi illumina di verde le ore 23 e 12 minuti. .............."Pensavo ...che saresti venuta ........" Mi giro si scatto senza accorgermi che l'infermiera,probabilmente appena coricata, mi aveva collegato la flebo al braccio e rischio di strappare tutto. Ma ora non è lei. La luce che illumina il corridoio e quella della luna piena che passa per le ferritoie delle persiane mette in risalto il ragazzo in pigiama celestino della stanza 23. E' proprio lui. E' là accanto a me. L'ho memorizzato il suo viso ormai da 27 giorni. Sa di buono, di biancheria pulita, di ammorbidente. Ha la testa lucida, senza capelli come me. "Da 27 giorni ti vedo passare in corridoio fuori della mia stanza. Non avevo il coraggio di dirtelo... Ma........ io .................mi sono innamorato di te....". Non spiaccico parola ma vi assicuro che non sto sognando!!! No Non sto sognandooo! E la pastiglietta azzurra e' ancora là. "Signorina !!! Signorina!!!" In un bagno di sudore l'infermiera con la giacca rosa mi chiede "Cosa c'è ?" "Tutto bene?" Mi alzo di scatto, ho ancora la vestaglia verdina addosso, sul comodino nessuna pastiglietta e la sveglietta analogica segna le ore 23.20. In otto minuti ho sognato il più grande desiderio della mia vita. Domani racconto tutto alla mia Enterostomista...
E mentre penso a tutto quello che le devo raccontare... Il ragazzo della stanza 23 entra nella mia. Per davvero stavolta.
A distanza di otto mesi dall'inizio delle terapie, Non ci siamo ancora lasciati...e' il più grande amore della mia vita. E' la mia vita, e siamo ancora qui, vivi.


OMOSESSUALITA' E STOMIA
Ho conosciuto Fabio ad un congresso ingegneristico al CERN di Ginevra nel 2011 tra bosoni e neutrini. Presentava uno studio concluso nel centro in cui lavora tutt’ora sul fenomeno quantomeccanico dell’oscillazione del neutrino.
Del primo impatto, a parte il vestito marrone perfettamente intonato con la maglietta a girocollo beige ed una pashmina di cachemire dorata mi colpì il suo particolarissimo accento francese. Delle 31 slides proiettate nel maxi schermo della sala congressi ricordo ancora perfettamente soltanto la penultima, prima del “grazie per l’ascolto” , perché nel riquadro a sfondo turchese in basso a destra, sotto al suo nome e cognome, scrisse il numero di cellulare e l’indirizzo mail per contatti. Durante i venti minuti a lui riservati, credo che abbia puntato dritto ai miei occhi , che nascondevo sotto ai grandi occhiali dalla montatura nera acquistati a Parigi un mese fa, un migliaio di volte, come se fossi l’unico spettatore in sala. Mi sentivo chimicamente attratto, lo ammetto, la brevissima storia con Ennio è finita poche settimane fa dopo un mese esatto dal mio intervento e, non che mi sentissi pronto per un’altra storia ma lusingato da queste languide attenzioni sì. L’elenco nutrito dei comportamenti dell’essere umano innamorato è stato spiegato da molti bio scienziati ma ora mi sembrava tutt’altro che facile la questione.
Poi non so ma, mentendo a me stesso mi sentivo così sopraffatto dall’interesse per l’ingegneria quantistica che… cercai immediatamente l’iphone in tasca per inviargli un ermetico ma diretto sms: “Complimenti. Sono senza parole".
Lo mantenni in uscita per qualche minuto, pensando più volte di cancellarlo. Con la faccia da idiota che mi ritrovavo non ero riuscito a vincere il duro gioco di sguardi che si era creato per tutta la proiezione in power point del suo lavoro, nemmeno dopo, quando si sedette là sul palco con gli altri relatori mirando verso di me che stavo in quinta fila. Senza esitare ulteriormente decisi di aggiungere il mio nome al sms. Digitai: Ivan. No, troppo diretto. Cancellai e riscrissi. Piacere Ivan. No troppo conciso… E che ero timido io? Optai per l’invio del primo sms e subito dopo del secondo con scritto “Ah! Scusa, sono Ivan”. Con le movenze nervose di un bambino iperattivo che non mi abbandonavano un secondo, era impossibile non notarmi. Fabio invece sembrava il classico amante con dosi massime di capacità manipolatorie oltre che con grandi doti oratorie. Mi vibrò il cellulare in tasca. Era Fabio!. Scivolai con il dito su _scorri per sbloccare__ e lessi “Grazie, gentilissimo, se mi aspetti in fondo all’uscita principale tenda blu, non rossa, ti raggiungo tra due minuti e prendiamo un coffee.”. Alzai gli occhi, appena di trenta gradi, cercando uno sprazzo di luce tra il ciuffo biondo sulla fronte che mi ritrovavo gonfiato a phon dalla mattina e la bordatura degli occhiali che mi incorniciava lo spettacolo, e nuovamente il suo sguardo penetrante puntava dritto a me. A quarant’anni certe cose si capiscono al volo e non servono lunghi sproloqui per la parafrasi delle intenzioni. Elaborai un presunto discorso nei due minuti che mi rimanevano prima di raggiungere la tenda blu. Ammiro le amiche donne che riescono a cavarsela in questi casi e là il dolce pensiero mi dava i brividi.
“Buonasera Ivan”, incalzò con una R alla francese che svegliò il mio parasimpatico addormentato illudendomi di sentire un’erezione spontanea. “Ciao Fabio, Esque vous voulez an cafè?” Mi improvvisai il classico figo francese che fa tendenza, che sa spiaccicare poche sillabe, ma con lo sgancio di un sorriso da paura.
Accidenti da vicino era ancora più affascinante. La messa in piega alla Justin Timberlake , l’eleganza del suo passo e l’altezza statuaria accrebbero purtroppo le mie insicurezze.
Non ricordo quanto abbiamo parlato. La cena di gala offerta dagli sponsor farmaceutici era programmata per le otto e mezza ma noi non ci siamo mai andati. Al caffè abbiamo preferito due aperitivi fruttati e il resto.. ve lo racconto subito. Occorre una certa astinenza dal contatto fisico per apprezzare la geometria del perfetto incastro tra due esseri umani. Quello che è successo nella stanza 308 sono riuscito a raccontarlo alla mia enterostomista solo una settimana fa.
Fabio sembrava completamente a suo agio davanti al mio piccolo sacchetto sulla pancia. L’amputazione del retto per via addomino perineale è stata così demolitiva che all’inizio pensavo di buttarmi dal dodicesimo piano dell’ospedale. All’epoca stavo con Checo ma è finita dopo poco. Quando riuscii ad accettare la stomia non la accettò più lui. Fabio invece era andato oltre ogni apparenza e mi fece sentire unico. Conosceva perfettamente l’anatomia del mio corpo, del nuovo Ivan in quel fisico metà uomo e metà donna, senza fori. Ci siamo persi in un abbraccio senza precedenti. Bendati, e respirando ognuno il respiro dell’altro. Tra le lenzuola di raso bianco, solo la mia fedina d’oro bianco sul pollice sinistro e la sua collanina di caucciù sembravano parlare, mentre le nostre bocche mantenevano labbra semichiuse ai sospiri ansimanti. Non ci chiedevamo cosa sarebbe successo dopo ed entrambi decidemmo di restare a guardarci. Non c’era né l’imbarazzo dell’andare oltre i limiti né confini al nostro amore nascente. La stomia diventò protagonista, poi, ce ne dimenticammo. Nell’alchimia della bioingegneria dell’essere umano tutto funzionò magicamente. Il nostro rapporto continua ancora oggi. Ah… mi torna in mente mentre scrivo... la frase della prima slide : “La fisica della meccanica quantistica dimostra scientificamente che l’essere umano è un tutt’uno con l’universo” … noi ne abbiamo dato prova tangibile.




TRA LA VITA E LA MORTE
Il mondo annebbiato che mi si presenta davanti, mi crea il panico. Ho paura. Non so perché sono qui. Non sento le mie gambe. Non riesco a muovermi. Devono avermi legato i polsi alle spondine e ho un tubo in gola che non mi fa respirare. Cerco di tirare fuori con forza la mano dalla banda di fettuccia e velcro che mi taglia il polso. Mi vengono odiosi conati. Ecco, vedo un’ombra leggera davanti a me, vestita di verde. Mi accarezza e mi dice di stare tranquilla, di respirare con il naso. La sua mano morbida mi tocca il viso. Com’è bella una mano tenera quando hai paura. Perché sono qui?!. Il materasso su cui mi trovo è blu, soffice, ad aria, e scorgo i miei piedi in fondo. Li vedo soltanto, scoperti, ma non li sento affatto. Sono cianotici, forse dovrebbero mettermi una copertina. Realizzo di essere in rianimazione dopo qualche istante. Melissa, dove sei ?!. Giulio?! Sandro?! Dove sono i miei figli??? Non voglio morire!!!. Sento il mio petto pesantissimo, come se avessi un macigno che mi schiaccia il cuore. Ora ricordo. Ricordo il consenso informato all'intervento, gli occhi del chirurgo e le mie mani tremanti. Dov'è il sacchetto? Non lo sento sulla pancia. Il bip bip del monitor riesce a farmi sentire viva. Ho desiderato di morire quando mi hanno detto che sarei diventata una stomizzata. Ora desidero vivere e uscire da questa terapia intensiva!
Ho le palpebre pesantissime, quasi non riesco a tenere gli occhi aperti. Li chiudo, e l’unica cosa che vedo nelle tenebre, sono i miei figli. La lacrima che mi riga il volto, brucia, ecco, la conosco adesso la sofferenza, sul mio corpo mutilato. Nemmeno al funerale della mamma, ho provato il sapore delle lacrime. Riapro con fatica gli occhi. L’infermiera accanto a me sta preparando il piccolo carrello delle medicazioni, lo noto appena con la coda dell’occhio e l’odore di disinfettante lo sento acre, pungente sulle mie narici. Non provo fortunatamente nessun dolore e questo mi allevia, ma quanto vorrei che l’infermiera si girasse verso di me, e mi asciugasse la lacrima, che ora è finita sul collo, fredda come una lama. Oltre alla parete di vetro trasparente, l’ampia hall con la guardiola degli infermieri, illuminata da luci soffuse, mi ricorda le fisse immagini fotografate nella mia mente quando ho assistito mia madre. Stessa storia, stesso percorso, stesso sacchetto.
Sento il mio sguardo vagare nei ricordi. La terapia intensiva è un luogo così particolare che passavo il tempo ad osservare i monitor, i tubi, le cannette, mentre le tenevo la mano, seduta accanto a lei, su queste spondine. Ora io devo farcela da sola, per i miei figli devo rimettermi al più presto.
I piedi sono sempre più bluastri e il medico, bisbigliando qualcosa all’infermiera, che tocca le mie dita anestetizzate, fa preparare una fialetta di non so che, e me la inietta. Ecco, sta per farmi la medicazione ma sento che il dolore alla testa sta aumentando, e quando sposta il piccolo lenzuolo bianco che mi copre, riesco a vedere il mio corpo marezzato. Le mie cosce mi impressionano. Le chiazze rossastre simili a petecchie mi ricordano i malati terminali, chissà se sto morendo. Richiudo gli occhi nel mio silenzio profondo.
“Dai Alessandra che ora ti tolgono il tubo”.
L’infermiera, con amorevole cura, si appoggia al mio letto con una materna presenza, la stessa che io ho con i miei figli.
“Aiutatemi! Non voglio morire!”, quanto vorrei dire questo a squarciagola. Ho bisogno di aiuto!. Non so da quanto tempo mi trovo in rianimazione; ore, giorni o settimane. Di certo c’è solo la terribile sensazione che provo, e l’elenco nutrito di sentimenti contrastanti. Di certo ci sono le persone che mi stanno accudendo e aiutando. Di certo c’è Melissa e c’è Giulio e Sandro che mi aspettano a braccia aperte.
Il liquido in vena infuso dal medico dopo le mie urla disperate, senza tubo in gola, lo sento espandersi lentamente mentre le mie palpebre diventano nuovamente pesantissime. Poi non ricordo più nulla.
Mi sono svegliata per miracolo, dopo quindici minuti di massaggio cardiaco. Arresto cardiocircolatorio. "Lei è viva per miracolo signora", mi disse il medico. Giuro che non ti odierò mai più caro sacchetto sulla mia pancia. Resterai con me per sempre perchè qui, sotto ai ferri, non ci vorrò mai più tornare.
Alessandra ha deciso di rimanere stomizzata per sempre. Lo ha deciso per amore dei suoi tre figli. Ed è felicissima così.

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